Sempre più frequentemente i debitori ceduti nell’ambito di cessioni di crediti cartolarizzati ai sensi della legge n. 130/1999 eccepiscono in giudizio la nullità degli atti processuali posti in essere nell’esercizio dell’attività di tutela e recupero del credito da special servicer che non siano iscritti nell’albo previsto per gli intermediari finanziari dall’art. 106 del Testo Unico Bancario.
L’art. 2, comma 6 della c.d. legge sulla cartolarizzazione (l. 130/1999) prescrive infatti che i servizi dei soggetti incaricati della riscossione dei crediti ceduti e i servizi di cassa e di pagamento possono essere svolti solamente da banche o da intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (TUB). Si tratta, per l’appunto delle “altre attività” eventualmente consentite dalla legge di cui alla lett. c) comma 2 dell’art. 106 TUB che banche ed intermediari possono esercitare, nel rispetto delle disposizioni dettate dalla Banca d’Italia.
In questo quadro litigioso tra debitori e servicer si inserisce la recentissima Ordinanza n. 7243, pubblicata in data 18 marzo 2024, della Corte di Cassazione, Terza sezione civile, che sembra – per il momento – dare ragione ai secondi.
La Suprema Corte ha ritenuto “artificiosa e destituita di fondamento” l’eccezione di “difetto di rappresentanza” dello special servicer sollevata dal debitore opponente, affermando il seguente principio di diritto: “Dall’omessa iscrizione nell’albo ex art. 106 T.U.B. del soggetto concretamente incaricato della riscossione dei crediti non deriva alcuna invalidità, pur potendo tale mancanza assumere rilievo sul diverso piano del rapporto con l’autorità di vigilanza o per eventuali profili penalistici (titolo VIII, capo I, del T.U.B.); in conclusione, con specifico riferimento all’eccezione qui avanzata, ai fini della validità del controricorso non rileva che la SPECIAL SERVICER – rappresentante sostanziale di MASTER SERVICER, a sua volta mandataria della società veicolo SPV, cessionaria di credito bancario – sia iscritta (oppure no) nell’albo degli intermediari finanziari”.
A sostegno di questa impostazione verso il problema il giudice di legittimità ha osservato che qualsiasi disposizione di legge, in quanto generale e astratta, presenta profili di interesse pubblico, ma ciò non basta a connotarla in termini imperativi, dovendo pur sempre trattarsi di «preminenti interessi generali della collettività» o «valori giuridici fondamentali” e che il mero riferimento alla rilevanza economica (nazionale e generale) delle attività bancarie e finanziarie non vale di per sé a qualificare in termini imperativi tutta l’indefinita serie di disposizioni del cd. “diritto dell’economia”, contenute in interi apparati normativi (come il T.U.B. o il T.U.F.).
Ne discende che, secondo la Suprema Corte, l’art. 2, comma 6 legge n. 130/1999 e l’art. 106 TUB “non hanno alcuna valenza civilistica ma attengono alla regolamentazione (amministrativa) del settore bancario (e, più in generale, delle attività finanziarie), la cui rilevanza pubblicistica è specificamente tutelata dal sistema dei controlli e dei poteri (anche sanzionatori) facenti capo all’autorità di vigilanza (cioè, alla Banca d’Italia) e presidiati anche da norme penali”.
Conseguentemente “non vi è alcuna valida ragione per trasferire automaticamente sul piano del rapporto negoziale (o persino sugli atti di riscossione compiuti) le conseguenze delle condotte difformi degli operatori, al fine di provocare il travolgimento di contratti (cessioni di crediti, mandati, ecc.) o di atti processuali di estrinsecazione della tutela del credito, in sede cognitiva o anche esecutiva (precetti, pignoramenti, interventi, ecc.), asseritamente viziati da un’invalidità “derivata”.
In altre parole, sono salvi gli atti compiuti dagli special servicer anche se non iscritti nell’albo di cui all’art. 106 TUB.
Auspicando un intervento quanto prima delle Sezioni Unite sul tema, staremo a vedere se questo sarà sino ad allora l’orientamento maggioritario adottato dai giudici di merito.